InternetOfEverything: tre lezioni dal mio ortolano

Articolo preso da techeconomy.it di Stefano Epifani (link)  

(download IoE e l’ortolano)

Il mio ortolano: ”Professò, ma lei vende frigoriferi?”
Io: “eh?”
Il mio ortolano: “ma si, l’ho vista parla’ su IuTub!”
Io: “…”
Il mio ortolano: “nun me stò a sbajà! Era proprio lei! Diceva che i frigoriferi parlano cor cellulare, e pure co’ Facebook!”
Io: “ahhhh… ma no! …ero ad un convegno sull’Internet Of Everything”
Il mio ortolano: “l’interdeche?”
Io: “l’Internet of Everything: l’internet di ogni cosa. In pratica il fatto che tutte le cose, nei prossimi anni, saranno connesse alla rete. E connesse in rete parleranno tra loro e con le persone…”
Il mio ortolano: “e che c’entra il frigorifero?”
Io: “c’entra eccome, perchè quando il suo frigorifero sarà collegato in rete la avviserà con un SMS del fatto che manca il latte, o che deve comprare il salame…”
Il mio ortolano: “Professò, a parte il fatto che latte e salame nun me li compro ma li faccio da solo (Piuttosto, me lo ricordi: la prossima volta je porto n’salamino), guardi che gli essemmesse so’ superati! Ora c’è uotsapp: lo uso pure co’ mi fijo che studia ingegneria a Milano…”
Io: “perfetto: chieda a suo figlio cosa succederà tra pochi anni, quando ci saranno letteralmente miliardi di strumenti di uso comune collegati in rete…”
Il mio ortolano: “ma quello parla difficile… e poi che ne capisce de come se cortivano i carciofi… er mio è ’n lavoro de zappa… nun serve mica er computer…”
Io: “dice? Eppure si ricorda quando mi ha detto che le fanno male le ginocchia e si è stancato di fare avanti e indietro per venti ettari – su e giù dal trattore – per controllare quali piante hanno bisogno di acqua? Pensi al fatto che con un po’ di misuratori di umidità del terreno collegati allo stesso cellulare che usa per WhatsApp potrà sapere sempre quali settori del campo annaffiare senza fare avanti e indietro…”
Il mio ortolano: “ah però! Ma niente niente, visto che la vedo pratico, nun è che ‘sta cosa m’aiuta pure per i maiali e le vacche, che me fanno cammina’ pure de più?”
Io: “e che c’entrano i maiali e le vacche?”
Il mio ortolano: “c’entrano, c’entrano! Che io li tengo liberi nel bosco dietro casa (ce lo sa che la carne vie’ più bona!), ma quelli se nascondeno…e ogni tanto scappano pure, e ritrovalli pe’i campi è ’n terno ar lotto!”
Io: “beh… stanno entrando in commercio dei piccoli GPS che…”
Il mio ortolano: “e nun parli difficile pure lei! Gippiche?”
Io: “mi scusi. Ha ragione: Gi Pi Esse. Dei piccoli rilevatori di posizione che le dicono dov’è un oggetto… Lo fanno vedere su una mappa, sempre con il solito cellulare che usa per WhatsApp…”
Il mio ortolano: “Se potrebbe monta’ ‘sto rilevatore sur collare assieme ar campanaccio: ma nun se scarica la batteria?”
Io: “eh… quello è un problema che si sta cercando di risolvere…”
Il mio ortolano: “mica posso inseguì le vacche pe’ mettele sotto carica! E poi quando costa ‘sto coso a attacco alle vacche? Quelle se strofinano pe’ le frasche e se lo perdono, e io pago!”
Io: “anche il costo dei singoli device – mi scusi – dei singoli strumenti collegati alla rete è un problema: certo quando se ne venderanno tanti il prezzo si abbasserà moltissimo, e già oggi il prezzo di componenti come questo è diventato più che abbordabile, ma nei prossimi anni crollerà verticalmente…”
Il mio ortolano: “ma insomma… sto rilevatore per le vacche me lo compro? Perchè se costa troppo e la batteria dura poco nun me serve, ma se er prezzo è giusto e nun me tocca inseguì le vacche pe’ ricaricallo, quasi quasi me lo compro su Amazon… Lo sa che mi fijo m’ha spiegato come funziona e mo’ ce compro pure i ricambi dalla Germania?”
Io: “…”

IOTE così, quando un paio di settimane fa pensavo di staccare per qualche ora e dedicarmi all’orto, mi son ritrovato con il mio ortolano a parlare di Internet of Everything. E se forse non l’ho convinto a comprarsi un rilevatore di posizione per bovini o un sensore per l’orto, la chiacchierata è stata per me senz’altro più istruttiva di tante conversazione con esperti del settore.

Lo è stata perché mi ha consentito di recuperare una dimensione di realtà che nei dialoghi tra “esperti” spesso si perde. Quella dimensione che ci ricollega ai problemi ed alle reali esigenze delle persone, riportandoci a comprendere come per far si che l’innovazione sia davvero utile non ci si possa chiudere in meccanismi e dinamiche autoreferenziali ma ci si debba invece aprire alla concretezza del mondo. E se questo è vero per il digitale in generale lo è tanto più quando parliamo di Internet Of Everything. Perchè quando il digitale incontra i processi, le cose e le persone è inevitabile che incontri con esse la complessità dei processi, la fisicità delle cose, la soggettività delle persone.

Un incontro che per non diventare scontro deve tener bene in considerazione il fatto che il mondo non è (solo) quello dei laboratori di ricerca, ma (soprattutto) quello dei tanti ortolani – grandi e piccoli – che delle tecnologie dovranno essere utenti. Ed è bene ricordare che, ognuno a modo suo, così come qualche giorno fa siamo stati tutti (chi più chi meno) Charlie Hebdo siamo anche (e saremo sempre) tutti ortolani. Lo siamo e lo saremo perchè nella nostra dimensione di utenti viviamo una dinamica di cambiamento della quale dobbiamo considerare gli impatti e ricordarli bene quando torniamo alla dimensione di esperti.Perché se è vero che l’usabilità è il rapporto tra user model e design model, quanto più ci allontaniamo dalla nostra dimensione di utenti tanto meno riusciremo ad essere efficaci nel rendere usabili le innovazioni delle quali ci facciamo a vario titolo artefici.

La storia dell’informatica è piena di innovazioni che – indipendentemente dalla loro efficacia potenziale – si sono scontrate contro il muro di una realtà fatta di fattori che, nella loro banalità, non sono stati considerati con la dovuta attenzione. Mai come con l’Internet Of Everything ci siamo trovati di fronte ad una rivoluzione tecnologica con impatti così forti sulle persone – su tutte le persone – e quindi mai ci siamo trovati con un’esigenza così forte di non perdere il contatto con la realtà quotidiana. Mai come oggi realtà fisica e realtà digitale hanno richiesto uno sforzo di integrazione così alto. Mai come oggi tale sforzo si rivelerà decisivo.

Per questo sono grato al mio ortolano che con il suo pragmatismo, forse da non esperto di ma sicuramente da grande esperto dei suoi problemi, ha immediatamente identificato le potenzialità ed i limiti del contesto nel quale ci stiamo muovendo, dandoci tre lezioni fondamentali:

  • Arrivare alle persone: Come abbia fatto il mio ortolano a finire su un video di un seminario nel quale parlo di IoE è un mistero. Sta di fatto che il dato significativo è che temi apparentemente specialistici oggi escono con sempre più forza dai ristretti ambiti degli esperti. È un fatto indubbiamente positivo: stiamo arrivando alle persone. Ma proprio per questo è sempre più importante sforzarsi di essere comprensibili, di tradurre gli argomenti tecnici e teorici in fatti concreti, di promuovere occasioni di confronto con il mondo reale, che è quel mondo verso cui ci porta – o ci dovrebbe portare – l’Internet Of Everything. Quell’internet di ogni cosa che, per essere davvero di ogni cosa, deve prima di tutto arrivare alle persone. E parlare la loro lingua.
  • Guardare ai problemi reali: Arrivare alle persone vuol dire guardare ai problemi reali. Vuol dire sforzarsi di comprendere le esigenze degli utenti, delle aziende, delle istituzioni. Troppe volte abbiamo visto l’industry dell’ICT avvitarsi attorno a temi completamente autorefrenziali, al punto da perdere il contatto con la realtà ed arrivare ad offrire soluzioni in cerca di problemi. La velocità con la quale il fenomeno dell’Internet Of Everything si affermerà dipenderà (anche) dalla capacità di guardare ai problemi reali. E naturalmente di comprenderli.
  • Fornire soluzioni concrete: Guardare ai problemi reali si traduce nella capacità di fornire soluzioni concrete. Ancora una volta, più di ogni altra volta, diventa indispensabile coinvolgere chi i problemi li vive tutti i giorni. È indubitabile che l’Internet di ogni cosa cambierà ogni cosa, ma in questo processo di cambiamento il ruolo di chi le cose le vive è quantomai centrale. L’identificazione di soluzioni concrete a problemi reali è la chiave di volta per promuovere il cambiamento apportato dall’Internet of Everything. Non serve inventarsi scenari futuri: dobbiamo partire dai problemi quotidiani di chi i processi li conosce dall’interno. Se da un punto di vista macroscopico l’IoE è destinato a ridisegnare intere industry non bisogna dimenticare che tale innovazione non sarà necessariamente disruptive. In molti casi un approccio incrementale risulterà vincente, per cambiare il mondo non con un improbabile salto carpiato, ma passo dopo passo.

Questi tre elementi sono e saranno fondamentali per passare dallo stadio in cui le tecnologie sono utilizzate da first mover e da appassionati in contesti prevalentemente sperimentali alla fase in cui diventeranno davvero alla portata di tutti. Paradossalmente l’Internet of Everything sarà una realtà concreta proprio quando smetteremo di parlarne, perché allora la rete sarà davvero entrata in ogni cosa, cambiandone la natura e ridisegnando la realtà. Perché quando l’Internet of Everything sarà una realtà allora non sarà solo “una realtà”, ma rappresenterà “la realtà” di una società nuova.

Per questo è così importante seguirne gli sviluppi, anche grazie ad occasioni di incontro e confronto come quella organizzata da Cisco con la seconda edizione dell’.